Questa caverna è uno dei più antichi siti umani della Penisola Sorrentina, perché attesta la presenza antropica ad almeno 10.000 anni fa, in cui si riconoscono tracce di varie epoche: dal Neolitico all’Età del Bronzo media, fino al IV secolo a.C. Nota fin dall’antichità e manomessa nel tempo da curiosi e predatori, la grotta fu esplorata nel 1885 dal ricercatore Riccardo Lorenzoni, che poi pubblicò i suoi studi nel 1888, proponendo di intitolarla al suo maestro, Giustiniano Nicolucci, uno dei primi antropologi d’Italia, professore all’università di Napoli. L’importanza della scoperta di Lorenzoni fu riconosciuta anche da Silvio Salvatore Gargiulo, il poeta sorrentino Saltovar, che in una pubblicazione del 1924 definì quel sito “Grotta del Tesoro”, riprendendo alcune leggende locali su un misterioso forziere di gemme preziose. La grotta restituì circa un migliaio di reperti, ordinati in cinque categorie: terrecotte, pietre lavorate, ossa lavorate, ossami e bronzi. Si tratta di stoviglie, fusaiole e pesi, cioè oggetti che testimoniano un uso abituale del sito, ma anche vasi, seghe, coltelli e frecce. Successivamente, la cavità fu studiata anche in altri sopralluoghi: nel 1933 da Ugo Rellini, negli anni ’50 da Oreste Albanese, nel 1959 da Renato Peroni e nel 1965 da Antonio Mario Radmilli. Oggi circa 30 pezzi sono presso il Museo di Antropologia dell’Università “Federico II”, mentre gli altri sono custoditi nei depositi del Museo archeologico nazionale di Napoli.
Posta accanto al rivo Neffola, la grotta sarebbe stata soprattutto un luogo di culto delle acque per la presenza di tre caratteristiche: le rocce levigate che fanno ritenere che in antico vi fossero flussi idrici; le numerose stalattiti e stalagmiti; i lisciatoi e le ossa di animali, come bue, pecora, capra, porco, volpe e roditori, che forse vi venivano sacrificati. La caverna è attualmente posta ad una ventina di metri dal marciapiedi, sulla ripida falesia calcarea che domina la strada provinciale che da Sorrento conduce verso Massa Lubrense. La sua apertura ha una forma semiellittica ed è parzialmente ricoperta da arbusti selvatici che la rendono poco visibile, mentre il suo interno è costituito da due vani: una specie di anticamera lunga circa 2,50m e larga 60cm, che va progressivamente restringendosi verso il passaggio che porta alla vera e propria grotta, larga 1,10m e alta parecchi metri. Si tratta di una cavità all’interno di una roccia carbonatica, dunque calcareo-dolomitica risalente all’aptiano superiore, dove non mancano elementi arenacei e argillosi.
La grotta si trova su una rupe verticale e dal fragile equilibrio geologico e naturalistico. Nei primi decenni del XXI secolo i Vigili del Fuoco e la Protezione Civile sono intervenuti più volte sulla scarpata per eliminare alcuni grossi massi piuttosto instabili e, di conseguenza, per mettere in sicurezza sia il sito, sia la strada sottostante. Questa cura della falesia e l’impossibilità di accesso per curiosi e passanti – una combinazione di regole e di consapevolezza che bisogna mantenere e rispettare anche nel futuro – hanno permesso lo sviluppo di un microsistema ecologico da preservare. Per le condizioni orografiche del luogo, la vegetazione è quella che non necessita di grosse profondità per le radici, dunque si tratta di boscaglia, cespugli di macchia mediterranea ed esemplari di aceri e di alianto. Più diffusa, soprattutto nei dintorni della grotta o al suo interno, invece, sono alcune felci; queste non sono rare, tuttavia sono un importante indicatore di qualità ecologica.
Per la sua vicinanza al centro cittadino e alla strada provinciale piuttosto trafficata, nella zona la fauna è di piccole dimensioni: roditori, qualche rettile come serpentelli e lucertole, insetti del terreno, come aracnidi e lombrichi, o dei vegetali, come ad esempio sotto la corteccia di qualche albero, ma naturalmente non mancano mosche, zanzare, libellule e api, ossia gli esemplari più indicativi per valutare la qualità ambientale. Per le caratteristiche fisiche della falesia, tuttavia, è anche una zona di rifugio per l’avifauna migratoria, per cui vi si scorgono rondini, ma talvolta anche gabbiani. Non di rado sono stati avvistati rapaci diurni e notturni, ma all’interno della grotta, specie nella sua parte più profonda e impervia, si trovano pipistrelli e altri chirotteri, ossia un particolare e delicato ordine di mammiferi placentati.